Una vittima della guerra civile: Maceo Carloni di Vincenzo Pirro





Maceo Carloni 

Premessa (1)

La storia della resistenza non è fatta solo di guerriglia e di antiguerriglia, azioni militari e rappresaglie, attentati e rastrellamenti, è fatta anche di violenza ideologica, di condanne sommarie e uccisioni crudeli. La resistenza umbra non fa eccezione, anzi, man mano che la storiografia fa giustizia di falsificazioni politiche e ideologiche e si addentra sul difficile terreno della verità effettuale, emergono aspetti drammatici e disumani della lotta partigiana anche nella nostra regione; prendono corpo vicende e protagonisti lungamente avvolti nella leggenda; crollano miti costruiti dai vincitori nel dopoguerra e si aprono spazi alla comprensione, al giudizio storico superiore alle parti. A distanza di mezzo secolo, in un mutato clima politico e morale, è passibile far luce su alcuni episodi rimasti lungamente oscuri, e quelli che sembrano atti eroici si rivelano a volte delitti politici premeditati ed eseguici barbaramente per il feroce odio innescato dalla guerra civile. Nella primavera del 1944 la Valnerina fu teatro di una serie di violenze tuttora impresse nella memoria collettiva per la loro efferatezza. I partigiani della brigata garibaldina Gramsci risposero alle retate dei tedeschi e dei fascisti con una serie di colpi di mano in cui caddero vittime non solo militi della Repubblica sociale, ma anche persone innocenti e inconsapevoli, ovvero uomini del vecchio regime, condannaci a morte per la loro fede politica o per presuma attività spionistica a favore del nemico. La brigata Gramsci era formata in gran parte di comunisti dichiarati o simpatizzanti, oltre ai montenegrini titoisti che "spingevano a sinistra" gli italiani. Per questo la formazione aveva più il carattere di "partito" ideologicamente e militarmente organizzato che di movimento di liberazione nazionale. La bandiera rossa, il pugno chiuso, la falce e martello, costituivano tutti accessori di un estremismo politico che preoccupava gli stessi dirigenti del Partito Comunista (2). Una volta che la rivoluzione prese il sopravvento sulla causa nazionale, fu inevitabile che l'etica della spietatezza, comune a ideologie e sistemi totalitari, contagiasse i partigiani, spesso giovani indottrinati da un'improvvisata scuola di partito e immessi in una lotta in cui la pietà era morta. L'antifascismo si radicalizzò, perdendo il carattere morale di "resistenza" e assumendo i connotati politici e sociali del conflitto di classe, compreso il ricorso ai metodi terroristici. La mentalità ideologico-politica, che ha condizionato fortemente la cultura del dopoguerra, ha impedito agli italiani un esame di coscienza, un ripensamento critico del recente passato che poteva essere la premessa per la comprensione morale e la pacificazione sociale. Soprattutto la cultura storica ha tradito la sua funzione irenica: accreditando e diffondendo la vulgata antifascista e resistenziale, essa ha reso un servigio al dio-partito non all'umanità dell'uomo, che è stata spesso sacrificata alla ragion politica. Ci sono morti che attendono ancora la sepoltura, e tra questi sicuramente Maceo Carloni, a cui i Tribunali di Terni, di Roma e di Perugia hanno restituito l'onore e la dignità che erano stati calpestati nel tentativo di giustificare il barbaro delitto compiuto da un gruppo di partigiani. Forse mancava solo il giudizio della storia perché potesse trovare la pace eterna. E a questo scopo abbiamo lavorato, dando voce a fatti e protagonisti di una tragedia comune, che finalmente possono essere ascoltati anche fuori delle aule giudiziarie. 
Rendendo giustizia a Maceo Carloni, come ad altre vittime innocenti, forse si può raggiungere indirettamente un duplice scopo: 1) dare un contributo serio alla resistenza, che, per inserirsi a pieno nella storia nazionale e diventare patrimonio comune, deve far ammenda dei propri errori; 2) elevare e pacificare gli animi, che, dagli orrori della guerra civile, sono chiamati a trarre non solo una lezione sul passato ma anche un ammonimento per il futuro. 
                               


Articolo di Maceo Carloni uscito su "Acciaio" il 15.3.1934



[…] In tutti questi anni Enrico Carloni ha perseguito un unico scopo: riscattare l'onore di un uomo che aveva "amato il popolo" e "per vent'anni aveva combattuto per esso"; difendere la memoria di un padre e di un marito esemplare, che era vissuto per la famiglia e per la patria, morendo povero. Egli ha cercato di ristabilire la verità non solo chiamando gli uccisori e detrattori del padre sul banco degli imputati, ma anche rovistando nelle carte d'archivio. Al fianco gli sono stati i fratelli Stelvio e Paolo, e, fino all'ultimo, la madre: tutti testimoni di quella terribile notte del '44. I processi penali hanno permesso di accertare definitivamente che Maceo Carloni non fu una "pericolosa spia dei fascisti e dei tedeschi'', e neppure ''despota e sfruttatore del proletariato ternano", ma semplicemente un operaio e un sindacalista, che a un certo punto aderì al fascismo, non tanto per ragioni di opportunità quanto per fede nella giustizia sociale che vedeva interpretata dal nuovo regime. Sta di fatto che dalla militanza politica e sindacale, egli non ricavò nessun profitto personale. I giudici si sono sostituiti agli storici, ma quel che è peggio li hanno dovuti richiamare per ben due volte al loro dovere di obiettività. La ricerca che abbiamo condotto conferma le sentenze dei tribunali, e permette di restituire Maceo Carloni alla sua città, a cui è stato strappato ingiustamente. Attraverso la ricostruzione di un delitto politico è emersa un'immagine della resistenza ternana più complessa e drammatica, per la forte caratterizzazione ideologica, dovuta non solo alla presenza di vecchi comunisti perseguitati durante il ventennio ma anche all'influenza dei partigiani slavi. Essa viene sempre più a configurarsi come un capitolo della storia del comunismo italiano, con le sue utopie sociali e le opposte esigenze realistiche, con la sua strategia egemonica e la storica subalternità ai poteri forti. I tempi sono maturi per liberarci da pregiudizi e luoghi comuni sul fascismo, per capire i motivi del "consenso" al regime di tanti giovani, provenienti anche da formazioni diverse ed opposte, come Maceo Carloni, che nella "nuova ottica" del fascismo identificò la giustizia sociale, la nazione di popolo, la civiltà del lavoro, in cui fortemente credeva. 

Ora che la congiura del silenzio è infranta, abbiamo l'occasione di riflettere sul nostro passato non solo con le categorie della politica e del diritto, ma anche in termini morali, ponendo la coscienza di fronte al dramma della violenza, in maniera diretta, senza interferenze ideologiche. 
Il giudizio storico e il giudizio morale tendono a coincidere quando l'apologetica e la retorica cedono il posto alla verità.


Maceo Carloni in divisa da marinaio


 Note:

 (1) Gli atti processuali richiamati nel presente saggio sono stati forniti all'Autore dalla Famiglia Carloni.

(2) Cfr. C. GHINI, Relazione sulle brigate volontari della libertà dell'Italia Centrale, 20 aprile'44, Istituto Gramsci, b. 7/17/4E.

Maggiori informazioni su: www.maceocarloni.it




IL PRESENTE TESTO E’ LA PREMESSA AL SAGGIO PUBBLICATO DA VINCENZO PIRRO NEL 1999 E ORA DISPONIBILE IN VERSIONE DI LIBRETTO SU AMAZON   https://www.amazon.it/Una-Vittima-Della-Guerra-Civile/dp/1535253428

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